Delle differenze fra cinema italiano e cinema estero si è parlato a lungo, spesso risalendo alle radici di questa arte: si è parlato di budget, di investimenti, di promozione di giovani talenti, di cultura, si è perfino fatti il nome di grandi registi come Fellini e De Sica, paragonandoli impietosamente a contemporanei connazionali o colleghi di altre nazionalità.
Quindi, cosa differenzia davvero le due industrie?
Si può dare la colpa del presunto gap esistente fra i due mondi a un unico elemento? Vediamo i punti principali della discussione, uno per uno.
Il BUDGET
Tasto dolente, dolentissimo, viene tirato in ballo spesso e volentieri, utilizzato nella maggior parte dei casi come unico capro espiatorio.
In effetti, le differenze fra denaro disponibile e investimenti fra l’Italia e i suoi vicini – in primis la Francia, senza voler arrivare alla Gran Bretagna o, allontanandoci ancora, ai colossi statunitensi e indiani – è spesso abissale: i concorrenti amano i buoni prodotti e, in ugual misura, i prodotti che possono fare soldi.
Non c’è una vera e propria differenziazione, perché le case di produzione desiderano portare nelle sale cinematografiche entrambe le scuole di pensiero, cioè il film impegnato e il film leggero. Fra loro, una marea di lungometraggi “a cavallo”, che mixano gli elementi anche in maniera molto originale.
In Italia, c’è un gap decisamente più evidente fra i due orientamenti di pensiero. Da sempre, il nostro cinema è stato in grado di trattare anche temi molto delicati, quasi insopportabili (pensate alla serie di capolavori del secondo dopoguerra, ma anche, per includere un tono più ironico, alla critica sociale dei primi due Fantozzi o del Marchese del Grillo), con professionalità e garbo; negli ultimi anni, però, si è assistito anche all’avvento di un cinema decisamente disimpegnato, quasi volgare, orientato all’incasso più che ai contenuti.
Un genere di film che spesso “mangia” le produzioni indipendenti o le storie più al limite, bruciando il budget disponibile.
NUOVI TALENTI ABBANDONATI
Nel caos degli investimenti, quindi, è facile che i produttori italiani preferiscano andare sul sicuro, abbandonando i giovani talenti e limitando le possibilità di emergere a chi – pur dotato di idee e qualità – non ha lo spazio sufficiente per esprimere se stesso.
Una cosa molto diversa dal sistema statunitense, nel quale la promozione delle novità è continua: basta pensare a un regista come Tarantino, per esempio, capace di sfondare negli anni ’90 pur avendo pochissima esperienza.
OFFERTA
Naturalmente, la dimensione del mercato ha le sue conseguenze: il cinema italiano non può competere coi numeri americani, indiani, francesi, russi…
In USA, per ogni film “impegnato” ci sono più film “leggeri”, per ogni investimento di grande portata ci sono più progetti indipendenti: in poche parole, l’offerta in sala è sempre molto estesa e capace di catturare l’attenzione di ogni genere di utente. Bene o male, gli incassi arrivano sempre, garantiti dalla diversità dei titoli prodotti nello stesso periodo.
I produttori italiani, pur avendo iniziato un importante sforzo negli ultimi anni per garantire pellicole di diverso genere (un esempio su tutti, Lo chiamavano Jeeg Robot), per dimensione non può competere.
CULTURA
Infine, il problema culturale.
Se i produttori italiani preferiscono puntare sul sicuro è anche perché il pubblico sceglie, e spesso sceglie i film più leggeri, condizionati dall’esempio del cinema estero, ma anche da una generale mancanza di cultura, preparazione, curiosità.
Il mondo del cinema si è, quindi, appiattito sulle preferenze dei suoi spettatori, sempre più orientanti a storia allegre, comiche.
Certo, le eccezioni non mancano: una delle ultime pellicole uscite in sala, Dogman, rispecchia proprio questa nuova tendenza.
La presenza di una maggiore cultura, di un maggiore approfondimento potrebbe, però, giovare all’intero sistema.
Le differenze fra cinema italiano e cinema estero sono, quindi, determinate da questioni di denaro, investimenti orientati ai gusti del pubblico, assenza di cultura approfondita, dipendenza dalle mode dettate dagli altri mercati (USA in primis), assenza di un vero e proprio sostegno ai nuovi talenti: questi sono solo alcuni degli elementi in gioco, ma gli spunti a favore o contrari a questa teoria sono moltissimi.
Per ogni professionista o appassionato deluso dal sistema italiano, ci sono – invece – molti che apprezzano al direzione imboccata e sperano in una crescita del settore, fondamentale proprio per correggere alcuni dei comportamenti visti nell’articolo!